Le premesse per l’innesto
di traiettorie di sviluppo
a. La teoria del capitale sociale
b. Cultura civica e fiducia
c. I circoli virtuosi dello sviluppo
 
     
Una nuova immagine
del Meridione
a. Le ricerche sullo sviluppo locale
b. Le nuove politiche per il Sud
c. Cosa accade dopo l’allargamento?
 
           
 
LA TEORIA DEL CAPITALE SOCIALE
Per comprendere quali siano realmente i presupposti per un innesto stabile e duraturo dello sviluppo è necessario partire definendo il capitale sociale nella sua natura di bene pubblico. Secondo Coleman il capitale sociale, in quanto caratteristica della struttu¬ra sociale in cui un individuo è inserito, lungi dall' essere appropriabile in modo esclusivo da un singolo individuo, è indivisibile, inalienabile e non è di proprietà privata di chi momentaneamente ne trae profitto.

Ciò vuol dire che tutti gli individui presen¬ti in una realtà sociale ad alto capitale sociale possono potenzialmente trarre vantaggio da questa ricchezza delle relazioni anche se non sono parti integranti di determinate strutture organizzative. Perché questo avvenga è necessario che il poten¬ziale di risorse relazionali esistenti si tramuti in progetti quali nuove attività imprenditoriali, processi di innovazione e così via.
Il capitale sociale può, inoltre, essere definito come l'insieme delle relazioni di un soggetto individuale o collettivo utilizzabili per perseguire i propri interessi. In primo luogo, le relazioni che lo costituiscono possono essere utilizzate dagli attori per attivare risorse attraverso le quali per¬seguire proprie strategie, ad esempio progetti di tipo imprenditoriale.

Le forme utilizzabili in questo senso sono innumerevoli: aspettative fondate che i crediti basati su obbligazioni informali saranno restituiti; flusso di informazioni che transita attraverso le relazioni sociali; norme che regolano il rapporto tra interesse personale e interesse comunitario e che, quindi, sanzio¬nano i comportamenti non collaborativi o da free rider; relazioni di autorità attraverso le quali si individuano forme di leadership; possibilità di orientare verso scopi differenti da quelli originali il tessuto delle relazioni familiari o asso¬ciative. Più in generale, Coleman ritiene che il capitale sociale sia tanto maggiore quanto più alto è il numero delle obbligazioni fra gli individui che costituiscono dei veri e propri debiti spendibili in altri contesti.

Naturalmente il capitale sociale, come le altre forme di capitale, può crear¬si, mantenersi e distruggersi. Questo dipende da una serie di fattori relativi soprattutto alla struttura delle relazioni di rete: è importante che le reti siano vaste, stabili e capaci di creare rapporti di dipendenza reciproca. Le reti troppo corte e un alto tasso di mobilità fra i soggetti, che le compongono, e il crearsi di forme di dipendenza esterne, sono tutti fattori che possono portare alla dispersione del capitale sociale.


  Queste relazioni consentono al soggetto di disporre di risorse cognitive e normative necessarie per realizzare degli obiettivi, che possono essere di tipo economico o politico, sostenendo costi relativamente contenuti. Molte analisi sostengono che un determinato contesto territoriale è più o meno ricco di capitale sociale a seconda della densità delle relazioni esistenti fra i soggetti individuali e collettivi che in esso risiedono .

Una ripresa importante, in tempi a noi più vicini, del concetto di capitale sociale è stata compiuta da Pierre Bourdieu in un breve articolo nel quale il capitale sociale è definito come l'insieme delle risorse attuali o potenzia¬li che sono dovute al possesso di una rete stabile di relazioni più o meno istitu¬zionalizzate. Il volume del capitale sociale posseduto dal singolo dipende, quin¬di, dall'ampiezza della rete delle relazioni che può mobilitare e dall'entità del capitale economico, culturale o simbolico posseduto da ciascun elemento della rete. Il capitale sociale dipende, inoltre, da una sorta di feedback sociocognitivo che l'individuo riceve dagli altri membri della sua rete, per il fatto che essi lo riconoscono come interno a quel network relazionale. Questa rete di legami sociali è il frutto di precise strategie di investimento sociale orientate all'istitu¬zione e alla riproduzione di relazioni che siano utilizzabili in quanto implicano obbligazioni, scambi e riconoscimenti durevoli.

Il limite della rete degli scambi costituisce anche il limite del gruppo al di là del quale non ci può essere scam¬bio legittimo. Si viene così a costruire, sul piano sociale, una distinzione fra scambi legittimi e illegittimi; questi servono a riprodurre la distinzione fra grup¬pi, occasioni, luoghi e pratiche sociali in cui si incontrano individui che si riten¬gono omogenei fra loro e si riconoscono come tali.
Le riflessioni di Bourdieu sottolineano alcune dimensioni del capitale socia¬le appena accennate dai classici e dalle recenti teorie. Il capitale sociale, infatti, proprio perché relazionale, è soggetto alle ambiguità insite nella relazione sociale: attraverso la quale passano non solo il riconoscimento reciproco, ma anche la negazione e la discriminazione.

Il numero e la qualità delle relazioni in cui si è inseriti (e quindi del capitale sociale che si possiede) sono uno dei fattori che producono e riproducono la disuguaglianza sociale, la quale non discrimina solo fra società diverse (a seconda del capitale sociale pre¬sente in esse), ma anche all'interno di ciascuna società individuando un'ulterio¬re linea di stratificazione fra classi, ceti e gruppi.
Nella promozione dello sviluppo economico il capitale sociale è importan¬te per due sue caratteristiche.
  Secondo Coleman, quindi, il capitale sociale è costituito fondamentalmen¬te dal network di relazioni che si creano fra i soggetti di un determinato conte¬sto territoriale, legami non necessariamente forti o specifici, ma per molti versi simili ai "legami deboli" di cui parla Granovetter (studiando il mercato del lavoro dei manager e dei tecnici negli Stati Uniti, giunge alla conclusione che la probabilità di trovare un nuovo lavoro è legata più al nume¬ro dei legami e delle conoscenze di cui un individuo dispone piuttosto che alla loro forza. Ne consegue che siano più proficue le semplici conoscenze rispetto ai legami di parentela o di amicizia, i quali finiscono col produr¬re effetti di aggregazione diversi da quelli per cui si erano instaurati, accrescen¬do il potenziale economico di un territorio.

Due sono le perplessità maggiori che la teoria di Coleman suscita. Innanzitutto, essa non riesce a chiarire le modalità del passaggio dal livello individuale al livello sociale. Sembra esserci una soluzione di continuità fra il capitale di relazione che un individuo possiede e utilizza, e il concetto di capitale sociale come bene pubblico disponi¬bile per chiunque viva in un certo contesto. In secondo luogo, la teoria sembra collocarsi a un grado troppo elevato di formalismo e di economicismo. Essa delinea, infatti, un attore sociale che si impegna nello scambio sociale essendo orientato, fondamentalmente, alla massimizzazione del proprio interesse e che, nel tentativo di estendere il numero delle relazioni e dei beni scambiati, pre¬scinde dal loro contenuto. Al contrario, appare legittimo il dubbio che alcune relazioni che creano interdipendenza e vincoli reciproci possano costituire degli ostacoli, piuttosto che dei fattori di promozione dello sviluppo economico.

Basti pensare ai gruppi sociali che perseguono finalità corporative o illegali (ad esempio, i gruppi criminali) per comprendere la necessità di verificare i valori che si trasmettono in una rete prima di asserire che essa favorisce la crescita eco¬nomica .

Del resto, anche uno degli studi più famosi sul cambiamento culturale, economico e politico nelle società della post-modernità relati¬vizza il ruolo svolto dal capitale sociale nella promozione dello sviluppo. Così, a parere di Inglehart, una forte dose di capitale sociale svolge un ruolo positi¬vo nelle società che si trovano ai primi stadi dello sviluppo economico, mentre in società molto sviluppate, la presenza di forti reti di relazioni può bloccare la crescita economica. La verifica statistica di questa ipotesi è effettuata metten¬do in correlazione il capitale sociale presente in alcuni paesi (misurato median¬te i livelli partecipazione associativa) e il loro tasso di crescita economica fra il 1950 e il 1988: la correlazione è negativa tra i paesi più sviluppati e positiva tra i paesi meno sviluppati. Tale risultato può forse essere spiegato facendo riferi¬mento alla concezione del capitale sociale di Bourdieu: quando le reti relazio¬nali strutturano reticoli di interessi consolidati e molto differenziati, la stessa società può perdere di dinamismo perché è più orientata a mantenere le disu¬guaglianze piuttosto che a tentare nuove vie di crescita della ricchezza e del benessere.
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