Le premesse per l’innesto
di traiettorie di sviluppo
a. La teoria del capitale sociale
b. Cultura civica e fiducia
c. I circoli virtuosi dello sviluppo
 
     
Una nuova immagine
del Meridione
a. Le ricerche sullo sviluppo locale
b. Le nuove politiche per il Sud
c. Cosa accade dopo l’allargamento?
 
           
 
COSA ACCADE DOPO L'ALLARGAMENTO?

Il 1° maggio 2004, data di avvio dell’Unione europea allargata a 25 paesi, sembra dover segnare il punto di avvio di una nuova politica di sviluppo e coesione italiana ed europea. La conclusione del processo di allargamento introduce, infatti, nuove opportunità e nuovi rischi, sulla base dei quali è necessario siano ridefinite le linee guida della politica a favore del Mezzogiorno nei prossimi anni.
Gli effetti dell'allargamento saranno particolarmente significativi in termini di politiche di coesione.

L’ingresso massiccio di nuovi Stati nazionali a basso reddito – diretti concorrenti del nostro Mezzogiorno, area debole di un paese a reddito medio relativamente elevato – comporta un rilevante mutamento di prospettiva: con le regole attuali, si prospetta una diminuzione delle risorse comunitarie a disposizione delle regioni meridionali, aumenta il grado di concorrenza tra le macro-regioni europee, divengono più frequenti i processi di delocalizzazione delle imprese verso le aree a più basso costo del lavoro. Si entra, come detto, in una nuova fase con cui occorre confrontarsi.

Non può sfuggire che, se non si interviene con decisione a livello nazionale, se l’Italia non riesce ad agire in maniera sempre più incisiva nei consessi europei, i rischi del nuovo assetto saranno quelli di un Mezzogiorno che si marginalizza rispetto agli interessi comunitari, che diviene incapace di aggregarsi ai poli di sviluppo dell’Europa continentale, che stenta a tenere il passo con il processo di integrazione che continuerà ad interessare con crescente intensità nei prossimi anni il mercato interno all’Unione.
Accanto ai rischi appena richiamati, il mutamento di contesto internazionale presenta possibili opportunità.
  E’ un confronto che deve avvenire nella consapevolezza che in uno scenario di geografia politico-economica profondamente mutato c’è il rischio, molto concreto, che le scelte della politica di coesione europea privilegino interessi “altri” da quello – tradizionale e fondante nella cultura comunitaria – della riduzione del divario Nord-Sud.

Emergono, in primo luogo, le esigenze dei nuovi paesi che debbono essere accompagnati nel loro processo di crescita; ma vi è, ancora più pericolosa, la diffusa sensazione che il Mezzogiorno, nonostante l’apporto delle politiche europee, non sia riuscito negli ultimi due decenni a intraprendere un sentiero di reale convergenza verso le aree forti dell’Unione. Ed è significativo, in questo senso, il raffronto tra Irlanda e Mezzogiorno, operato - sia pur con le semplificazioni insite nel confrontare una piccola area-Stato di circa 4 milioni di abitanti, che ha beneficiato del Fondo di Coesione e di incentivi fiscali negati al Sud, ed una macro-regione di 21 milioni di abitanti – nel Rapporto Sapir (“Europa, un’agenda per la crescita”) commissionato dalla Commissione europea.

In tale Rapporto, infatti, mentre l’Irlanda è additata come esperienza positiva di intervento pubblico comunitario a sostegno dello sviluppo, il nostro Sud è indicato come esempio paradigmatico di inefficacia della medesima politica. Sono indizi da cui traspare il rischio di una perdita di fiducia dell’Europa nei confronti del nostro Mezzogiorno e, conseguentemente, di una progressiva disattenzione verso le sue problematiche.
Aspetti analoghi si sono già rivelati in forme abbastanza evidenti nelle scelte relative alle infrastrutture di trasporto trans-europee, in larghissima misura orientate sugli assi Est-Ovest più settentrionali, e dimentiche, nella sostanza, delle esigenze collegate alla direttiva Nord-Sud e al Mediterraneo; ma anche nell’assenza di riferimenti specifici al Mezzogiorno – presenti invece per i Länder della ex Germania dell’Est - nella Costituzione europea.
  Sia per le implicazioni di carattere socio-economico, sia per ragioni di carattere più propriamente politico, la ‘grande Europa’ che nasce dell’allargamento costituisce un fattore di potenziale cambiamento che può toccare direttamente il nostro Mezzogiorno.

In primo luogo, perché le opportunità di sviluppo di un'area in cui vi sono ampie risorse tuttora inutilizzate divengono maggiori all’interno di un grande mercato di circa 450 milioni di cittadini. Vi saranno, quindi, maggiori possibilità di sbocco per le imprese meridionali, come maggiore sarà la domanda potenziale per il turismo. Ma vi sono anche “prospettive” più ampie. Bisogna tener fermamente presente come lo sviluppo dei rapporti euro-mediterranei costituisca, per il Mezzogiorno, l’opportunità per riacquistare una nuova centralità geografica.

Vi sono, cioè, spazi politici e termini economici per configurare il Sud d’Italia come un ‘ponte’ dell’Unione verso la sponda Sud e Sud-Est del Mediterraneo, cioè l’interlocutore privilegiato europeo di un grande nuovo mercato e, prim’ancora, di un grande bacino culturale e di risorse umane. Un’occasione che non deve essere mancata e che impone un radicale mutamento: culturale, istituzionale, economico.

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