Le premesse per l’innesto
di traiettorie di sviluppo
a. La teoria del capitale sociale
b. Cultura civica e fiducia
c. I circoli virtuosi dello sviluppo
 
     
Una nuova immagine
del Meridione
a. Le ricerche sullo sviluppo locale
b. Le nuove politiche per il Sud
c. Cosa accade dopo l’allargamento?
 
           
 
I CIRCOLI VIRTUOSI DELLO SVILUPPO
L’analisi dei processi sociali di feedback è centrale in un filone importante di studi sullo sviluppo che si richiama alla lezione di Albert Hirschman . Sono i circoli viziosi che rendono difficile lo sviluppo, specie quando questo non si è avviato ed è imprevedibile il suo cammino. Viceversa, una volta che si sia inne¬stato un movimento di sviluppo, esso stesso può realizzare le condizioni per una sua crescita.

Gli ostacoli e i prerequisiti non sono delimitati una volta per tutte: ciò che ostacola il progresso in un dato ambiente, può essere a suo vantaggio in altre situazioni. Lo sviluppo, infatti, non dipende dalla composizione di un insieme ottimale di fattori produttivi, ma dalla combinazione delle risorse e delle capacità nascoste, o malamente utilizzate, che sono presenti in una società. Il collegamento fra le diverse risorse è dato dalle prospettive dello sviluppo e dalla percezione della strada da percorrere presente nella mente degli individui. Anche gli ostacoli più grandi sono di tipo sociocognitivo e si riferiscono alle immagini diffuse del progresso:
? la prima lo vede in funzione della comunità. In società fortemente integra¬te, gli individui ritengono che il progresso dovrebbe riguardare ugualmente tutti i membri del gruppo in cui si identificano. È un'idea di fedeltà comunitaria che ha ostacolato il mutamento sociale in molte aree, anche nel Sud dell'Italia, la seconda percepisce il progresso solo in funzione dell'individuo che lo consegue a spese del resto della società, giustificando le frodi e la fiducia nella fortuna.
La prospettiva hirschmaniana è particolarmente utile nello studio delle realtà di sviluppo locale.

Essa ci aiuta a comprendere che lo sviluppo non segue traietto¬rie predeterminate, né può essere ottenuto mediante processi di pianificazione onnicomprensivi che si propongono di promuovere una crescita equilibrata.
Lo svilup¬po, al contrario, procede in un alternarsi di squilibri e riequilibri come a detta di Hirschman , in un film di Chaplin in cui Charlot prima sca¬glia una pietra contro le vetrine e poi... passa a ripararle. È così, cioè in modo spesso imprevedibile, che si creano delle novità in alcuni settori sociali o produttivi di una società che rompono un equilibrio stagnante. Tali "rotture" (si pensi alla nascita di alcune piccole imprese create da emigrati di ritorno o all' elezione di un sindaco al di fuori del circolo dei notabili) potranno provocare effetti indotti e consentire al sistema, dopo una serie imprevedibile di conflitti, di conquistare un nuovo equilibrio di tipo differente (e si spera migliore) dal primo.
Non esiste, di conseguenza, un rapporto causale unidirezionale fra alcuni fattori promotori di sviluppo e la nascita di attività economiche.


Hirschman distingue, inoltre, fra Capitale Fisso Sociale e Attività Direttamente Produttive: il primo include tutti i pubblici servizi e le infrastrutture, le seconde sono costituite dalle imprese di varia natura. Naturalmente, si ha una situazione di pieno sviluppo quando entrambe le realtà sono cresciute, ma è impossibile, a causa della scarsità di risorse, che ciò avvenga contemporaneamente.

Ci posso¬no essere, così, due sequenze di sviluppo: la prima parte da un eccesso di Capi¬tale Fisso Sociale e produce la nascita di nuove imprese; la seconda inizia con l'e¬spansione delle attività direttamente produttive e ipotizza che, una volta che i produttori comprendano che la presenza di un più ampio capitale fisso realiz¬zerebbe economie considerevoli, esercitino pressioni, attraverso azioni di voice , a favore di un suo incremento. Ciascuna delle due traiettorie ha meriti e difetti, anche se Hirschman non nasconde di preferire la seconda, in quanto gli effetti di induzione sono molto più forti: un eccesso di Capitale Fisso Sociale costituirebbe, infatti, solo un "invito" alla realizzazione di attività pro¬duttive; mentre se una strozzatura è veramente sentita (si pensi alla mancanza di infrastrutture fondamentali o all'inefficienza della pubblica amministrazione), provocherà tentativi di porvi rimedio da parte di coloro che ne soffrono e che ne guadagnerebbero se essa fosse eliminata.


Don Luigi Sturzo
  Questo rifiuto del determinismo si applica anche all' analisi dei settori pro¬duttivi. Non esiste una differenza netta fra settori produttivi moderni (oggi potremmo pensare all'informatica o alle biotecnolgie) che producono necessa¬riamente sviluppo e settori tradizionali che devono essere lasciati morire perché sono solo segno di arretratezza. Afferma Hirschman che con un sostegno poco oneroso (se confrontato con quello di cui necessitano spesso le industrie tecnologicamente avanzate) che consiste in finanziamenti per le attrezzature, formazione e consorzi, le piccole imprese e l'artigianato possono contribuire in maniera significativa allo sviluppo di un paese. Questo è un per¬corso diverso da quello seguito dai primi paesi in cui si è verificato il processo di industrializzazione: la crescita non passa, però, necessariamente attraverso una loro imitazione.

L'attenzione riservata ai circoli virtuosi dello sviluppo, piuttosto che alle visioni unidirezionali dello stesso, ci porta infine ad analizzare le modalità di relazione esistenti fra le diverse sfere di azione in cui si articola il sistema socia¬le. Si può infatti ipotizzare che certe modalità di relazione fra i sottosistemi sociali possano contribuire in maniera significativa a creare un ambiente sociale favorevole allo sviluppo economico autonomo, mentre altri possano essere di ostacolo. Più specificatamente, si può ancora pensare che modalità di relazione improntate alla logica della sopraffazione o dell' autoreferenzialità ostacolino maggiormente la promozione dello sviluppo. Dei riscontri a queste ipotesi pos¬sono essere rinvenuti sia in alcune ricerche empiriche sia in alcuni filoni teorici della riflessione sociologica.
Si può esaminare, in primo luogo, una ricerca empirica condotta sull' asso¬ciazionismo nel Mezzogiorno . In essa viene messa in evidenza la presenza di una vivace dinamica associativa che può giungere a promuovere fenomeni di mobilitazione collettiva e a favorire i processi di sviluppo economi¬co. Si ipotizza, infatti, che la partecipazione volontaria, non di natura ascrittiva, a un' azione comune per conseguire uno scopo condiviso presupponga un minore fatalismo, una maggiore sicurezza in se stessi e una maggiore fiducia negli altri.
L'associazionismo è quindi un segnale dell' allargamento della fiducia e della crescita del capitale sociale nella società meridionale. Ciò può avere ripercus¬sioni più ampie a livello di sistema sociale: costituisce una delle condizioni socio¬culturali più difficili da realizzare per promuovere uno sviluppo autonomo; accresce lo spirito pubblico e la cultura civica con effetti positivi sulle strutture politiche locali che sono così spinte verso comportamenti universalistici e sotto¬poste a un maggior vaglio critico da parte della società civile.

Tale funzione positiva non può però essere attribuita alla semplice crescita quantitativa delle realtà associative. È necessario verificare se la presenza e la crescita delle associazioni non siano promosse e non dipendano dal sostegno del sistema politico, e se l'associazionismo non sia colonizzato dalla società politica. In questo caso la crescita associativa costituirebbe non tanto una risorsa quanto, piuttosto, un vincolo ulteriore alla crescita economica.
La ricerca non conferma questa ipotesi negativa e mette in evidenza come i legami colonizzatori della politica, seppur presenti, non spieghino la compo¬nente più dinamica della crescita dell' associazionismo e come si assista piuttosto a un aumento significativo delle forme di auto organizzazione della società civi¬le. Tale auto organizzazione non è peraltro sintomo di autoreferenzialità, in quanto le associazioni tendono a relazionarsi con la sfere politico"istituzionali in modo più autonomo mediante iniziative di mobilitazione pubblica.
Nella ricerca sull' associazionismo nel Sud è significativo aver assunto l'au¬tonomia come indicatore del contributo che esso può dare allo sviluppo, non solo economico, del sistema sociale.

Questo sembra confermare la teoria sul ruolo che possono svolgere le nuove soggettività sociali nelle società post¬moderne .
Siamo infatti in presenza di forme di differenziazione sociale che mettono in primo piano nuove forme di autonomie sociali, come le associazioni. Ciò porta a rileggere l'intero sistema sociale come un sistema relazionale fra quattro sfere di autonomia: politica, di mercato, di comunità primaria e associativa. Il princi¬pio associativo è presente in tutte e quattro le dimensioni della differenziazione ed è nuovo perché viene declinato in modo autonomo, cioè come principio vita¬le di una comunità che si autocostruisce.
Quella post-moderna è, quindi, una società che si differenzia non più in maniera organica o funzionale, ma come una rete auto-organizzata composta di sfere socialmente autonome, ciascuna delle quali ha un proprio paradigma di riferimento. Le istituzioni e le strutture sociali possono essere lette nella pro¬spettiva del pluralismo sociale in quanto sono il prodotto di associazioni di azio¬ni realizzate da piccoli gruppi collegati reticolarmente.
  La società nel suo complesso può essere quindi considerata il prodotto di una dinamica in cui forme diverse di solidarietà si confrontano, si differenziano e si interpenetrano . Essa stessa è un' associazione che si speci¬fica in diverse sfere relazionali caratterizzate da codici simbolici specifici .
Più in generale si potrebbe dire che, nella visione del pluralismo e delle autonomie sociali, le relazioni fra le diverse sfere del sistema sociale dovrebbero essere improntate a una reciproca promozione, nel rispetto e nel riconoscimen¬to delle diversità, senza tentativi di sopraffazione e di inglobamento.

Una dina¬mica civile di questo tipo può portare a una crescita complessiva del sistema sociale che passa proprio attraverso le azioni di reciproca promozione; in questo senso, ad esempio, il ricostituirsi di un senso autonomo nell' ambito delle comu¬nità primarie (dei mondi di vita quotidiani) può essere la premessa per un impe¬gno autonomo nella sfera dell' azione mercantile. Gli esempi di reciproca ferti¬lizzazione fra le sfere sociali potrebbero moltiplicarsi per farci giungere alla con¬clusione che una delle condizioni dello sviluppo è data dalla comprensione e dal rispetto delle dinamiche proprie delle autonomie non autoreferenziali del siste¬ma societario.
L'idea che il rispetto degli ambiti di autonomia propri delle diverse sfere sociali consenta una migliore dinamica dei sistemi sociali può essere ritrovata nel pensiero di Sturzo , in una prospettiva attenta alla fondazione della società sui legami interindividuali. Nella sua teoria sulle forme primarie e secondarie che rendono concreta la società, egli pone particolare attenzione alle recipro¬che interferenze fra le diverse forme sociali. Per Sturzo i più interessanti svilup¬pi per la coscienza collettiva si ottengono nel dinamismo fra autonomia, interfe¬renza e predominio delle forme l'una sull'altra.

La totalità della società non si risolve, quindi, nella politica e nello Stato, né la forma politica ha una premi¬nenza sulle altre o può costituire una forma unificante. Si tratta di una formula¬zione in cui è chiara l'insistenza sulla tesi sociologica, etica e politica per la quale senza garanzie reali di libertà (individuale e collettiva), non si può dar luogo al dispiegarsi produttivo di stadi sempre più consapevoli di coscienza che sono alla base delle concretizzazioni della socialità e che devono essere alla base di ogni moderna democrazia . Quanto una impostazione teorica di questo tipo incida sull' analisi delle cause del sottosviluppo e dello sviluppo economico è evidente se si ricorda l'origina¬lità del meridionalismo sturziano. Già agli inizi del Novecento il suo impegno per lo sviluppo del Sud significava sostanzialmente autonomie comunali, casse rurali, cooperative e leghe contadine. Un meridionalismo ani¬mato da un concetto di libertà che non discende da una dialettica delle idee, ma dalla dialettica reale, concreta degli interessi vitali di un popolo; un far da sé, invece di essere fatti, un operare con la consa¬pevolezza dei propri rischi e secondo le proprie vocazioni, invece di abdicare e rimetter¬si alla benevolenza dello Stato che fa per tutti e pensa a tutti. Per questo il meridionali¬smo di Sturzo non sfocia in soluzioni riformistiche, che presuppongono una ripartizione e una gestione del reddito fatta dall' alto, secondo i criteri decisi di una burocrazia accen¬trata . Per Sturzo le tre forme primarie del vivere sociale sono quelle familiare, politica e reli¬giosa. Esse corrispondono ai tre bisogni fondamentali dell' affettività, dell' ordine e dei princi¬pi etici e finalistici. Le forme secondarie sono innumerevoli, ma fra di esse ricoprono un'im¬portanza fondamentale la comunità internazionale e l'economia che «entra in tutte le forme sociali come condizionamento all'esistenza e allo sviluppo di ciascuna forma di socialità» . Questa impostazione, coerentemente, porterà Sturzo, nel secondo dopoguerra, a combattere le politiche meridionaliste fondate sulle partecipazioni statali e sull'industrializzazione massiccia di importazione, che riducevano il Sud a una colonia interna del nuovo Stato dominato dai manager pubblici trasformandolo in un invalido permanente affidato alle opere del sottogoverno. Veniva ripropo¬sta, invece, una visione fondata sul rispetto dell'autonomia e delle leggi proprie della sfera della cultura e dell'economia perché, quando non si rispettano tali leggi, si restringe il tessuto complessivo delle libertà sociali e non si progetta uno sviluppo reale.
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